I MIEI 15 GIORNI CON ASEM MOZAMBIQUE
P(E)R “AIUTARE I BAMBINI -
RAFFAELLA


Quello che colpisce in Mozambico, come immagino in gran parte dell’Africa, è l’incredibile numero di bambini che lo popolano; i bambini sono ovunque, nei parei colorati avvinghiati alle spalle delle mamme, lungo le strade a vendere, nei campi a giocare, dietro qualsiasi “angolo” di capanna e baracca; i più piccoli, solitamente, mi scrutano con perplessità non appena si accorgono della mia strana presenza; mi scrutano e aspettano di capire, poi appena alzo una mano per salutarli, mi travolgono con i loro enormi sorrisi e la loro spontanea felicità.
Nessun bambino ha mai mendicato nulla da me se non un sorriso e devo ammettere che raramente li ho visti piangere o fare i capricci. E poi le occasioni di incontro con loro, sono ancora più indimenticabili. Per ogni piccola parola o attenzione donata ho sempre ricevuto indietro un tale entusiasmo e così inaspettato calore da farmi pensare che fossero loro, in realtà lì, ad aiutare me.

Mi cercano, mi abbracciano, mi toccano i capelli e mi guardano come se fossi il più bel giocattolo che abbiano mai visto; i bambini del Mozambico sono spesso vestiti di stracci, sono scalzi, “sporchi, diversi”, ma anche a me sono sembrati una delle cose più belle che si possa ammirare; l’intensità e la purezza dei loro sguardi, la gioia dei sorrisi, la “naturale dignità” e voglia di vivere, indipendentemente da tutto, mi hanno fatto spesso dimenticare tutta la rabbia e la vergogna che ho provato, soprattutto pensando alle mie reali condizioni di vita, nel vedere di persona tanta sofferenza, ingiustizia e inumana miseria.
Perché di povertà, ingiustizia e miseria ne ho vista tanta; spostandomi in diverse zone nei dintorni di Beira per visitare alcuni dei bambini e ragazzi sostenuti a distanza dal progetto AIB ho avuto la possibilità, di conoscere tante diverse realtà e di vedere concretamente uno spaccato di vita della popolazione di questo paese.

Le condizioni, in generale, sono molto difficili per la maggior parte della gente; le case in muratura sono poche e più ci si allontana dalla città, più le baracche di lamiera e poi le capanne di legno, paglia, fango, si susseguono come fossero un tutt’uno con gli alberi e il paesaggio circostante. Luce, acqua, gas, fognature e quant’altro sarebbe “normale e basilare” trovare in una casa sono tutti lussi per i pochi benestanti e parlando con gli adulti, la più grande preoccupazione, è trovare un lavoro stabile che permetta di far mangiare e sopravvivere la famiglia, che spesso è composta da 6, 10, molti bambini.

Se poi a queste difficili condizioni si aggiungono le debolezze e le miserie di alcuni di questi adulti, si sente parlare di situazioni che è difficile definire umane; storie di genitori violenti, parenti scomparsi, adulti corrotti, sfruttatori o semplicemente incapaci di vivere e allora per un bambino non avere cibo, vestiti, giocattoli, può sembrare il minore dei problemi.
Tanti sono orfani o abbandonati, comunque soli e “indipendenti” già a sei anni in una società che offre ancora ben poche possibilità di cambiare il corso delle cose e ottenere un riscatto nel futuro se nessuno si propone di aiutarli in qualche modo.

Tutto ciò è a dir poco commovente, spaventoso se non agghiacciante soprattutto quando si conosce il nome di quello che altrimenti sarebbe semplicemente uno fra i tanti; quando lo puoi guardare negli occhi, quando lo senti parlare di sé, dei suoi sogni, dei suoi problemi; quando senza neanche conoscerti ti abbraccia forte, ti stringe e sembra non volerti più lasciar andar via; quando lo vedi giocare, suonare, ballare, disegnare, sorridere, gridare, imbarazzarsi come fanno tutti i bambini e i ragazzi del mondo.

Questa considerazione, che può apparire anche un po’ banale, è invece una delle “scoperte” più importanti che mi ha dato questa esperienza; prima, nel mio immaginario, come forse in quello di molti altri, il “bambino in Africa” era principalmente la sua pancia nuda, tonda e gonfia dal vuoto che c’è dentro; la fame, la sete, l’AIDS, la malaria, l’alto tasso di mortalità infantile, tanti numeri e problemi che fanno “accapponare la pelle”; questa condizione purtroppo esiste, è vera e tangibile.
Il Mozambico è uno dei paesi più poveri dell’Africa; un paese che ha vissuto tanti anni di guerra civile e poi alluvioni, siccità, mareggiate; dove la prospettiva di vita è 38 anni e l’indice di sviluppo umano è bassissimo e certamente non si può parlare di molto altro se non si risolvono prima le condizioni base della sopravvivenza e della dignità umana; però poi c’è molto di più.

“Questi ragazzi hanno bisogno di appoggio, considerazione, amore; hanno bisogno di sapere che qualcuno li ascolta e li può aiutare a superare anche le difficoltà più insormontabili” ci spiega il responsabile del centro di accoglienza Manga di Beira; hanno bisogno istruzione e formazione e poi di cure anche quando si tratta di malattie non mortali; hanno bisogno di speranze e possibilità per il proprio futuro.

In una sua bellissima poesia Barbara Hofmann scrive “…come a volte poche gocce di pioggia ridanno vita alla pianta stremata, così con poco si può seminare felicità, con poco ridare dignità, con poco cambiare il corso di una vita.”  Nei nostri incontri con i bambini e i ragazzi “ASEM” ho potuto conoscere di persona tante situazioni anche molto diverse fra loro; alcune sono veramente “gravi” e a volte impressionanti per la loro crudezza; altre invece ci hanno dimostrato come un “piccolo aiuto”, molto spesso, possa realmente servire a cambiare il corso di una vita.

Attraverso il sostegno a distanza AIB e in generale l’attività ASEM alcuni bambini si sono potuti ricongiungere almeno a parte della propria famiglia, possono crescere attraverso un’alimentazione sana ed adeguata e soprattutto possono contare su persone che li assistono e li seguono per tutte le esigenze anche non materiali in tutto il loro percorso di crescita; possono andare a scuola e i più bravi ci raccontano sereni i desideri e le aspettative per il proprio futuro: diventare agronomo, informatico, contabile, insegnate, poi tutti i maschietti opzionano anche per diventare calciatori, ma questo è un altro discorso….

Per diventare un adulto forte e consapevole, una risorsa anche per il futuro e lo sviluppo del proprio paese, un bambino ha bisogno, oltre che di cibo e cure, di poter vivere la propria infanzia e di sviluppare la propria personalità e in una realtà come quella di Beira e del Mozambico intero queste cose non sono certamente facili o scontate.

Attraverso i centri di accoglienza, le scuole, i programmi di reintegrazione familiare e socio-economica, di riabilitazione psicologica, di formazione e d’intervento personalizzato, ASEM ogni anno aiutata migliaia di bambini e anche se possono sembrare gocce d’acqua in un grande deserto, assicuro che vedere e toccare con mano tutto questo fa svanire ogni dubbio sul valore che può avere anche un solo unico sorriso di ritrovata speranza e restituita  serenità.

Raffaella
raffaella.fuso@gmail.com

 



J. è una bambina orfana e senza parenti che vive ancora  con altri ragazzi al Centro di Accoglienza ASEM Manga.
Appena arrivata mi ha accolto con un abbraccio ed un sorriso a 39 denti che non ha mai smesso di mostrarmi per tutta la durata dei nostri incontri. E’ un sorriso enorme, aperto, bianco e candido molto più della mia pelle.
J. mi è rimasta nel cuore; le ho prestato le mie cuffiette con un piccolo lettore mp3 ed è diventata la “sambista!”. Abbiamo ballato la mia musica insieme e contagiato tutti intorno. Parlando con uno degli assistenti sociali ASEM abbiamo saputo che presto J. andrà a vivere con lui e la sua famiglia;  ci ha raccontato che è una bravissima atleta e che spera di poterla aiutare anche in questa sua grande passione; al momento dei saluti, dopo 3 giornate passate insieme a ridere e scherzare le ho regalato il lettore e una scorta di pile con la speranza che J. continui a ballare e a sorridere “per sempre” .
 
 
"A., una bambina di 9 anni adottata a distanza dal nostro paese, è nata con alcuni piccoli handicap; degli handicap che sono diventati enormi quando la zia l’ha picchiata per questo e lo zio ne ha ripetutamente abusato sessualmente.
Oggi A. vive con la sorella non ancora maggiorenne, una sorella a cui forse viene chiesto troppo per la sua età.
Le sue lacrime, al nostro incontro, mi gelano il sangue come vedere questa povera bimba di pochi anni seduta lì a terra incapace di muoversi e protestare.
ASEM, con il sostegno di AIB, si prende cura di lei pagandole una casa, dandole cibo, vestiti e il massimo di assistenza e supporto possibili.
Quando ho incontrato gli occhi di A. mentre era lì , appoggiata a terra nello stretto e angusto vicolo di casa come un cane randagio stremato e abbandonato, ho pensato che non c’è fine all’orrore e ho pensato meschinamente che l’unica difesa a tanto è pensare che A. non sia una bambina, che non sia neanche un essere umano. Ho pensato che sarebbe stato meglio continuare a vivere pensando che A. non esiste."
 
 
"O. e G., due dei bambini del progetto visitato, vivono in 12 in una casa di 5 metri quadrati; la zia non voleva farci entrare, in quell’unica stanza senza letti, né armadi, ne seggiole, né tavoli, perché l’odore di un ratto appena morto ci avrebbe nauseato; in un angolo fuori dalla baracca c’erano una cinquantina di piccoli pomodori, venderli oltre agli aiuti ricevuti , è il modo per sfamarsi. In questa casa di 12 persone gli adulti sono solo 3, poi ci sono minorenni che hanno già dei piccoli e tutti ci stringono la mano ringraziandoci per il supporto che gli stiamo dando.
 Sentirmi ringraziare è stato "sconvolgente" e presentarmi di fronte a queste persone senza lasciar trasparire compassione e pietà non è stato semplice, ma senz’altro dovuto vista la grande dignità che mi hanno mostrato."
 
 
“C e E. sono orfane e vivono con un’amica di famiglia che nonostante sia sola ad occuparsi già di 7 figli, ha deciso di accoglierle con sé e di prendersene cura. Tutti e 10 vivono in affitto in un’unica stanza di lamiera e il sogno di questa donna è di riuscire a comprare un posto dove far vivere dignitosamente sé e tutti i suoi bambini”
 
 
"H. vive con la mamma e la sorella in una casa di fango di non più di 3 metri quadrati che cade ogni volta che una nuvola si scarica sopra la loro testa; l’unico “lusso” che mi è sembrato di intravedere è stato un dentifricio di marca sopra il piccolo tetto di paglia."
 
 
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